Il presidente Usa Donald Trump e quello russo Vladimir Putin in un incontro a latere del G20 di Amburgo. SAUL LOEB/AFP/Getty Images
Da oramai vent’anni l’apparente crisi dell’unipolarismo euro-americano ha rilanciato le ambizioni delle potenze regionali.
La Russia, che con Putin è tornata protagonista nello scenario globale dopo oltre un decennio di guai e umiliazioni, è stato il Paese che ha coltivato, e continua a coltivare, i disegni egemonici più forti, ispirati a sentimenti revanchisti.
L’andamento estremamente favorevole dei prezzi delle materie prime energetiche nel corso degli ultimi venti anni ha messo a disposizione del Cremlino le risorse per riaffermare l’egemonia russa su ampie porzioni di quello che fino a trent’anni fa era l’impero sovietico, innescando una reazione ambivalente nel blocco occidentale.
Mentre l’establishment liberal ha iniziato a convincersi della necessità di una transizione verso un ordine multipolare, gli ambienti conservatori hanno iniziato a sviluppare dottrine del contenimento verso le potenze regionali più minacciose: Russia, Cina, Iran.
L’elezione di Barack Obama nel 2009 ha trasformato il Great Game tra gli Usa e le maggiori potenze regionali globali da una partita di scacchi a una di poker.
Il Presidente statunitense, infatti, ha cercato di fare unrestyling della potenza americana, adottando una linea meno muscolare, più disponibile al compromesso, più rispettosa degli alleati e degli organismi internazionali, più aperta a proposte di condivisione dei processi di decision making in alcuni scenari nevralgici del pianeta.
Tuttavia, a questa apertura degli Usa non è corrisposta una reazione speculare degli altri giocatori.
Russia, Cina, Iran, Arabia Saudita e Turchia hanno visto in questa nuova politica statunitense il segnale del declino della capacità di proiezione Usa, hanno interpretato la disponibilità al compromesso come vuoto politico.
Gli Usa di Barack Obama sono stati percepiti come un giocatore conservativo in bad run, demoralizzato e con una propensione al rischio molto bassa, impaurito e pronto a passare la mano se messo alle strette.
Come illustra efficacemente la teoria dei giochi, il sistema ha iniziato a cercare un nuovo punto di equilibrio.
Il teorema di Nash, che prende il nome dal celebre matematico John Nash, vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 1994, dimostra che all’interno di ciascun gioco competitivo (non collaborativo) esiste un assetto strategico in cui nessun giocatore ha interesse a cambiare unilateralmente la propria strategia.L’eventuale rimodulazione unilaterale della strategia di un giocatore, dettata da un azzardo o una scelta irrazionale, modifica il punto di equilibrio del sistema, innescando la rimodulazione delle strategie di ciascun giocatore e la conseguente definizione di un nuovo punto di equilibrio.
Tuttavia, l’equilibrio di Nash non è un ottimo di Pareto, e cioè, non garantisce al sistema l’assetto ottimale.
Il dilemma del prigioniero è un chiaro esempio di questo apparente paradosso.
Due criminali accusati di aver commesso una rapina vengono arrestati e rinchiusi in due celle diverse, da cui non possono comunicare con l’esterno. A ciascuno di loro viene offerta una scelta: collaborare o rimanere in silenzio.
  • se solo uno dei due collabora accusando l’altro, chi ha collaborato verrà scarcerato; l’altro verrà però condannato a 3 anni di carcere.
  • se entrambi accusano l’altro, verranno entrambi condannati a 2 anni.
  • se nessuno dei due collabora, entrambi sconteranno 1 anno di carcere.
 B rimane in silenzioB collabora
A rimane in silenzioEntrambi scontano 1 annoA sconta 3 anni
B viene rilasciato
A collaboraA viene rilasciato
B sconta 3 anni
Entrambi scontano 2 anni

Dando per scontato che entrambi comprendano la situazione, che non ci siano variabili esterne al sistema e che non ci siano vincoli di lealtà tra i due, la delazione risulta essere la soluzione migliore per entrambi,qualunque sia la scelta dell’altro.
  • nel caso l’altro taccia, opzione del tutto improbabile dato la specularità del ragionamento, il delatore verrà rilasciato invece che scontare 1 anno;
  • nel caso anche l’altro collabori, sconterà 2 anni invece di 3.
Quindi, la delazione è la strategia dominante e la reciproca delazione è l’unico equilibrio di Nash possibile nel sistema di strategie. Tuttavia, l’allocazione degli anni di carcere non è ottimale, in quanto il silenzio di entrambi garantirebbe il risultato complessivo migliore(1+1 vs 3+0 o 2+2) ma prevedrebbe uno schema di gioco collaborativo e non competitivo.
Applicando questo modello alla politica obamiana è possibile evidenziare come, mentre il Presidente americano ha cercato di traghettare il nuovo ordine globale verso una dimensione più collaborativa, meno competitiva, gli altri giocatori hanno approfittato del momentaneo squilibrio provocato dalla nuova posizione Usa per rafforzare la propria posizione al tavolo.
Lo schema in cui si è svolto questo stillicidio della potenza americana è stato analizzato a più riprese e da numerosi studiosi autorevoli durante la Guerra Fredda: i giocatori in posizione di svantaggio hanno iniziato a mettere alla prova la reattività del giocatore in posizione di vantaggio attraverso strategie estremamente aggressive, basate su continui rilanci volti a definire i nuovi confini, non solo geografici, delle reciproche sfere d’influenza.
La penisola coreana, il Mar Cinese Meridionale, l’Asia Centrale ma soprattutto il Medio Oriente e l’Ucrainasono stati i principali tavoli in cui si è svolta questa partita.
Tuttavia, l’elezione di Donald Trump ha radicalmente cambiato la strategia Usa. Il nuovo Presidente, nemesi del predecessore ed espressione di quegli ambienti conservatori che si sono opposti strenuamente alla politica estera di Obama, ha adottato una strategia del tutto speculare a quella degli altri giocatori.
Invece che cercare un nuovo punto di equilibrio, il Presidente Usa è intenzionato a volgere lo squilibrio a suo favore, riportando indietro le lancette della Storia di cinquant’anni e ponendo nuovamente gli Stati Uniti al centro del Global Order.
La nuova postura americana, di conseguenza, priva il sistema dell’unica camera di compensazione, assicurata sinora dalla pazienza strategica che ha caratterizzato la politica estera dell’amministrazione Obama, alimentando tensioni e aumentando lo squilibrio complessivo.